Creepypasta Italia Wiki
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Un punto di passaggio a metà di una strada da un centro all’altro; uno stop, niente di più. Uno stop e mai una meta. Incredibilmente, però, il traffico di persone e personaggi era (e sempre fu) a dir poco enorme per una cittadina del genere, e la cosa non mancava mai di stupirmi data la mancanza di attrazioni del posto.

Una mancanza quasi totale.

Avevo viaggiato fino a quel remoto, freddo, insopportabilmente ventoso pezzo di mondo per un motivo ben preciso, ed effettivamente non avrei potuto chiedere di meglio considerando le mie intenzioni.

“Cosa vogliamo oggi?” L’entrata di un cercatore ad interrompere il libero corso dei miei pensieri. “C’è bisogno di chiederlo? Intendo dirigermi ad ovest in mattinata.”

Eccone un altro a tentare la fortuna, un altro pronto a versare il proprio sangue in cerca di pepite “grandi quanto un cranio di bambino” nei pressi del fiume inaridito. Sì, certo, c’era un motivo per cui un’intera città era stata costruita in quella locazione; ma di certo ce n’era uno anche per l’incredibilmente breve lasso di tempo in cui il dato centro abitato di abitato avesse perso tutto. “Quando mai impareranno?” mi chiesi.

Non so bene cosa mi spinse a rifare ciò che feci in passato; un tempo anch’io ero cercatore, certo, ma brevemente mi accorsi che avrei potuto guadagnare molto di più da dietro le quinte vendendo armi a questi poveracci. Sarà stata l’età, la noia, l’insostenibile voglia di rischiare qualcosa, non lo so né mai lo saprò. Ma in fondo ne valse la pena.

Quel giorno arrivai al fiume, stranamente completamente libero di cercatori, ed iniziai a lavorare. Il primo giorno non trovai nulla. Il giorno dopo un paio di cercatori si unirono a me; “unirono” metaforicamente parlando, diciamocelo. Non uno sguardo, né una parola, nemmeno un cenno della mano. Uno, due, appena arrivati e già a setacciare la sabbia inaridita in cerca di pepite dimenticate dall’ultima caccia all’oro, quella che aveva prosciugato lo stesso fiume. E la città. E milioni di menti.

Il secondo giorno non trovai nulla. Il terzo giorno non trovai nulla.

Il decimo la truppa di cercatori si era ingigantita esponenzialmente: sotto un cielo plumbeo che minacciava acqua senza mai tener fede alla (tacita) parola data, cinquanta o più cercatori scavavano, imprecando, maledendo, con una luce negli occhi a metà tra il dolcemente infantile e qualcosa di fottutamente terrificante.

Passarono i giorni e le settimane, eppure la gente non si arrendeva, ed ebbi ormai perso il conto delle lune passate così come delle facce sporche che lì vi si trovavano. Uno di quei giorni sentii un grido.

“Trovato!”

Ci credettero. Uno ad uno si mossero, contorcendosi, gli occhi fuori dalle orbite e la lingua penzolante. Gettarono gli attrezzi per terra, e a quel sinistro clangore metallico si accompagnò (con rapidità sorprendente) uno stridio di fauci neonate. Non erano più né rosei né pallidi né sporchi di terra quei volti, anzi neri; neri come il carbone che in tanti avevano aspettato diventare diamante, neri come la notte che ormai scongiurava di vedere qualche stella. E, con gli occhi sepolti in quella materia oscura che li permeava, gettarono i loro artigli prima contro quell’iniziale burlone che aveva gridato al fuoco, e poi l’uno contro l’altro.

Il massacro non durò molto a dir la verità. Fu rumoroso, certo, e doloroso sicuramente, basti contare il numero (nullo) di sopravvissuti. Ma in un certo senso ebbe un suo perché: c’era dell’oro in quel luogo, in fondo.

Come lo so io? Da quella giornata tornai con le tasche piene.

Avevo appagato la mia sete di rischio così come la mia avidità. E, ancora una volta, trovai la mia redenzione.

Redenzione
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