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In passato Nathan aveva avuto un’infanzia normale. Era cresciuto in una grande famiglia con la sua gemella Crystal. Tuttavia, nonostante alle apparenze sembrassero due gocce d’acqua gli occhi di Nathan avevano qualcosa di particolare, una rara condizione genetica chiamata eterocromia. Ciò vuol dire che aveva un occhio blu e l’altro verde. Nathan e sua sorella erano cresciuti a stretto contatto con la madre che si era presa cura di loro da quando erano ancora in fasce, mentre loro padre aveva cercato di fare del suo meglio.

All’età di circa sei anni Nathan scoprì amaramente che suo padre non dava lo stesso affetto che riserbava alla sua gemella. Era un bambino scaltro e intelligente, tanto da non aver mai avuto problemi a scuola; mentre in compenso sua sorella era brava a stringere nuove amicizie. E come poteva non riuscirci? Tutti volevano bene a Crystal, ma lui di più dal momento che la considerava la persona più importante della sua vita.

Nathan era facilmente irascibile e aveva problemi a gestire la sua rabbia, non sapeva da dove originasse, ma si arrabbiava molto e facilmente. Quel temperamento presto lo portò a diverse liti sfociate in risse che gli insegnanti tentavano di sedare sempre con maggiore difficoltà. Le sue azioni spinsero i suoi genitori a doversi confrontare sulla faccenda. Erano taciturni e cercavano di non battibeccare mai sull’argomento né davanti a lui né davanti a sua sorella. Suo padre non riusciva tanto a sopportare una situazione del genere sotto al suo tetto e la sua faccia diventava sempre paonazza quando gli arrivava notizia di un’altra esplosione di suo figlio Nathan in classe.

Probabilmente questa fu la causa che incrinò i rapporti tra di loro portandolo a sfogare la sua delusione contro Nathan prima che sua moglie potesse intervenire per freddarlo. Nonostante l’atmosfera tesa, per qualche arcano motivo, Nathan si sentiva sollevato di tutto quel rancore. Vedere suo padre che dava più attenzioni a sua sorella che a lui come punizione lo aveva reso consapevole di quanto fosse facile manipolare le loro emozioni. Ciò era elettrizzante per i primi momenti, ma poi ne veniva facilmente a noia. Una notte Nathan fu svegliato da un vociare sommesso che lo fecero alzare da letto. Si avviò verso la porta della camera, continuando a seguire quel vociare basso, che lo portò a uscire dalla sua stanza e a percorrere in punta di piedi tutto il corridoio che collegava le stanze fino a giungere davanti alla porta dei suoi genitori da cui sentiva provenire le voci.

«Sei troppo benevola nei suoi confronti! Gliela fai passare liscia troppo facilmente!». Bofonchiò suo padre mentre cercava di tenere basso il tono per non svegliare lui e sua sorella.

«È solo un bambino, vedrai che imparerà a comportarsi meglio». Rispose sua madre con tono supplichevole.

«Dici sempre e così, ma lui non è idiota. È furbo e semplicemente non vuole correggere il suo comportamento».

«Sei troppo duro con lui». «Non lo sono affatto! E lui non può continuare a fare quello che vuole. Non potrebbe essere un po’ più come sua sorella? Lei è dolce, calma e non si ribella mai. Una bambina normale». «Crescerà...». Nathan aveva già sentito abbastanza e così se ne tornò di soppiatto nella sua stanza. I suoi pensieri e sentimenti nei confronti di Crystal mutarono un po’ diventando più cupi e amari, adesso sentiva chiaramente quel senso di risentimento che fino a quel momento aveva evitato di covare.

Per le mattine successive rifiutò sia di parlare che di giocare con lei. Crystal, ignara della situazione, continuò a insistere sul perché di quel comportamento ingiustificato e lui di risposta le urlò bruscamente contro.

Crystal rimase spiazzata da quella reazione, ma non ci volle molto perché Nathan si sentisse in colpa di averla trattata così male. Poteva sentire il dispiacere di sua sorella come se fosse il suo e si rese ben presto conto che non era lei ad averne colpa. Era colpa di suo padre. Era stato lui per primo ad aver cominciato tutto. Eppure, nonostante questo, continuava a provare una punta di invidia nei confronti di Crystal.
Nathan amava profondamente sua sorella e si fidava di lei, soprattutto perché era convinto che non sarebbe stata mai capace di fargli alcun torto. Erano come il giorno e la notte, come sosteneva suo padre, lui era quello cattivo e lei era la gemella buona; ma anche se erano diversi si intendevano in un modo che pochi fratelli erano in grado di raggiungere.
All’età di nove anni Nathan aveva decisamente tagliato fuori dai contatti i suoi genitori. Loro continuavano a sostenere di preoccuparsi per lui allo stesso modo di come facevano con sua sorella, ma era chiaro che non fosse così.

I suoi voti a scuola erano alti, ma la condotta era appena sufficiente perché continuava a prendere parte alle risse. Non aveva mai infastidito sua sorella durante la scuola e questa era certamente l’ultima cosa che intendeva fare per questo motivo si sedeva sempre in fondo alla classe.

Una notte i loro genitori uscirono e i due rimasero a casa con la babysitter. Era alquanto fastidiosa e non aveva fatto altro che passare tutto il tempo al telefono. Quando decise di ritirarsi nella sua stanza per giocare fu colto da una sensazione inquietante. Quasi in preda al panico lasciò la sua stanza. Dal soggiorno udiva dei deboli suoni che sfociarono ben presto in delle urla di tormento. Quando voltò l’angolo vide sua sorella in un angolo piangere, mentre la babysitter sopra di lei urlava. La ragazza aveva alzato una mano intenta a colpire Crystal, ma Nathan in preda ad un raptus sfrecciò rapidamente vicino al televisore urtandolo. La ragazza, colta alla sprovvista, aveva cercato di afferrarsi da qualche parte per evitare di finire schiacciata dal mobile che Nathan aveva rovesciato di proposito, ma per lei non ci fu scampo. Quell’incidente le costò un braccio rotto e diversi tagli. Qualche giorno dall’incidente, dopo aver indagato sulle dinamiche, i genitori decisero di portare Nathan da uno psichiatra per gestire la sua rabbia da cui erano scaturiti gli ultimi episodi. Presa coscienza dei suoi problemi nel gestire la rabbia Nathan divenne più chiuso e si rifiutò di partecipare a qualsiasi attività che fosse fonte di stress finendo per rifiutare qualsiasi tipo di nuova interazione sociale.

Quando diventarono grandi loro padre abbandonò casa per andare a vivere con un’altra donna rifiutando la loro custodia. Sua sorella era cresciuta sana e forte, era una persona popolare grazie alla facilità con cui legava amicizia, mentre lui era solo la sua ombra ed era conosciuto come il “gemello strano”. A Nathan questo non importava granché, quel che importava era che lei fosse felice e finché non aveva nuovi attacchi le cose andavano bene così. Quel giorno Nathan si era preparato come al solito. Aveva indossano un paio di pantaloni grigi, una camicia e una giacca nera. Scese al piano di sotto e salutò Crystal con un sorriso. Indossava una maglietta di un blu marino molto intenso che era la sua preferita perché Nathan gliela aveva regalata l’anno scorso per il suo compleanno.

«Buongiorno Nat, oggi arriverò in ritardo perché ho le prove della recita. Faremo quella generale!». Si premurò si spiegargli allargando un caldo sorriso. Nathan annuì facendole una carezza sul capo.

«Ok, tanto io sarò in giro con Jeremy. Ti verrò a prendere oggi, quanto tempo ci vorrà?». Le domandò indossando un paio di stivali.
«Verso le quattro o giù di lì dovrei essere fuori».

«Ok, va bene». «Oh, quasi dimenticavo! La mia amica Bell si è presa una sbandata per te. È molto timida, ma quando si scioglie sa essere molto divertente». Gli diede una pacca sulla spalla mentre uscivano. «Quella coi capelli rossi, giusto?». Domandò Nathan disinvolto. «Ooooow, ti piace anche lei? Eh, eh… forse ora puoi dimenticare Sara, no?». Lo prese un po’ in giro dandogli un piccola spinta, mentre lui di risposta fece roteare gli occhi.

Camminarono insieme fino a scuola continuando a parlare di piccole cose, ma per Nathan c’era qualcosa che non andava quel giorno. Avvertiva come un brivido nell’aria, qualcosa che Nathan in quel momento aveva cercato di scrollarsi di dosso.

Quando arrivarono a scuola i due sembravano appartenere a due mondi differenti. Crystal aveva un aspetto raggiante, mentre lui passava solo inosservato. «Oh, a proposito, ti ho già detto che Dave mi ha chiesto di uscire?». Sussultò lei per l’eccitazione interrompendo il filo dei suoi pensieri.

«Hmm? No, non credo tu l’abbia fatto. È bello. È quello della squadra di basket o qualcosa del genere, vero?». Chiese Nathan inarcando un sopracciglio. «No, è quello della squadra di nuoto». Rispose saltellando.

«Oh». Disse con indifferenza infilandosi le mani in tasca. «Non ti dispiacerà se esco con lui, vero?». Chiese gentilmente, cercando di interpretare le sue espressioni.

«Sai che non mi importa di cose del genere finché non ti trovo di nuovo nei guai». Rise dandole una spinta. La giornata stava procedendo come al solito, mentre sua sorella era impegnata con i suoi amici e le attività coi vari club. D’altro canto Nathan era propenso a trascorrere la maggior parte del suo tempo ad ascoltare musica o a nascondersi in biblioteca col suo amico Jeremy lontano dal trambusto della classe.

Dopo la scuola Nathan andò a trovare il suo amico, ma nel percorso venne intercettato da un gruppo di ragazzi della scuola. Nonostante i vari tentativi di ignorarli questi cercavano di provocarlo con insulti e di schernirlo, ma Nathan si limitò a passare oltre alzando il volume delle cuffie. Ad un tratto sentì una lattina urlargli le spalle e questo non poté continuare a ignorarlo. Rimase lì fermo un istante a riflettere su come avrebbe potuto sbrigare la faccenda nel mondo più consono, quando con la coda dell’occhio si accorse che uno dei ragazzi gli stava andando incontro minacciosamente.
Nathan si scansò all’ultimo lasciando che inciampasse nel terreno scivoloso. Spalancò un sorriso divertito vendendo la reazione del ragazzo che si stava arrabbiando. Nathan raccolse la lattina e la lanciò contro il ragazzo centrandolo in piena faccia. Mentre il ragazzo era distratto dal dolore per la caduta, il suo amico non era proprio sicuro se attaccare o tornare indietro.

«Bel tentativo… puoi dire a tua sorella che le mando i miei saluti». Lo provocò con un sadico sorriso spronandolo ancora di più a inveire su di lui, mentre il suo compare osservava la scena a distanza incerto ancora sul da farsi. Nathan andò avanti per conto proprio intento a lasciarsi la faccenda alle spalle, anche se c’era qualcosa che non andava. Si sentiva corrodere dall’interno, una rabbia inestinguibile che continuava a montarli in testa interrompendo qualsiasi pensiero.

«Ehi, come mai ti ci è voluto così tanto tempo?». Domandò Jeremy al suo arrivo. Nathan alzò le spalle in segno di risposta. «Non posso restare troppo a lungo. Alle quattro devo andare a prendere mia sorella». Spiegò Nathan mentre avvolgeva le cuffie. «Certo, anche se già così al centro dell’attenzione che potrebbe trovarsi qualcun altro per essere riaccompagnata a casa, non trovi?». Chiese Jeremy irritato.

«A volte potrebbe essere irritante, ma è pur sempre mia sorella ed è l’unico membro della famiglia in grado di capirmi».

Verso le quattro meno un quarto Nathan stava già aspettando sua sorella fuori da scuola. Il tempo scivolò e i ragazzi uscirono puntuali dalle lezioni di teatro. Nathan scorse sua sorella tra la folla e la accolse con un caloroso saluto.

«Siete in anticipo, sono contento di essere venuto un po’ prima del solito. Non vorrei mai che sentissi troppo la mia mancanza». Sorrise. «Com’è andata oggi?». Chiese mentre imboccavano la via d’uscita della scuola.

«È stato grandioso! Tu che cosa hai fatto di bello?».

«Tentato alcuni esperimenti sociali e sono uscito per un po’». «Sai, non c’è bisogno che mi riaccompagni sempre a casa». Disse Crystal con una nota amara rivolgendo lo sguardo verso il vuoto e rallentando il passo fino a fermarsi. D’un tratto levò un profondo sospiro e riprese il discorso.

«So che è per via della mamma e che è molto preoccupata, e lo sono anch’io. Dopo tutto ti stai ancora riprendendo e l’ultima cosa che voglia è aggiungerti ulteriore stress». «So cosa vuoi dire e io mi sento come se ti stessi facendo perdere tempo». Sospirò Nathan.

«Sei pazzo! Con tutto il tempo libero che ho da buttare pensi che mi preoccupi? Dai, andiamo». Sorrise riprendendo la marcia. Sulla strada di casa avevano deciso di passare per un quartiere inaspettata vuoto e Nathan fece caso ad un vicolo angusto all’angolo. Non ci dava molto peso, ma continuava lo stesso a sollecitare sua sorella ad aumentare il passo. Quella sensazione inquietante era tornata a farsi di sentire e a incombere su di lui con più insistenza. Poteva sentire a momenti il suo cuore balzargli fuori dal petto come se qualcosa stesse cercando di divorarlo dall’interno.

La luce del giorno stava declinando lentamente sul quartiere apparentemente tranquillo, mentre Nathan cercava di confortarsi con l’idea che per la gente era ancora troppo presto per rincasare. La maggior parte dei residenti doveva essere ancora al lavoro e avevano i ragazzi impegnati con la scuola o i corsi pomeridiani, per questo a quell’ora era tutto sempre così silenzioso. Si voltò leggermente per notare un furgone posteggiato al lato del marciapiede con le quattro frecce. La luce rossa gli dava fastidio. Erano quasi arrivati a casa e solo un vicolo li separava dalla meta. Nathan strinse dolcemente il braccio di sua sorella avvicinandola a sé.

«Nathan, stai bene? È uno dei tuoi episodi?». Domandò guardando suo fratello preoccupata.

«Continua a camminare. Siamo quasi arrivati». Sussurrò, ormai mancavano poche case. Il furgone spense le frecce e si mise in marcia seguendo la loro direzione. Stava accelerando e il rumore dei pneumatici sull’asfalto alimentava le sue paranoie.

«Stai bene?». Chiese ancora.

«Sì, tieni il passo».

«No, non lo sei. Spiegami che cosa c’è che non va».

«Non è nulla, stavo solo diventando un po’ paranoico».
«Vedi, dovresti dirmi come ti senti. Mi stavo preoccupando che avessi un altro dei tuoi black out. Io...». Crystal si interruppe, osservando l’espressione sconcertata del fratello.

«Cosa volete?».Chiese Nathan voltandosi. Tre uomini erano appena saltati giù dal furgone che aveva rallentato dietro di loro. Sentì sua sorella stringersi addosso a lui.

In un attimo quei brutti ceffi iniziarono ad attaccarli e Nathan cercò di fare il possibile per difendersi e tenerli lontani da Crystal. Incassò qualche colpo, ma era veramente difficile per lui tenere testa a tre uomini e finì per avere la peggio. Sia lui che sua sorella furono trascinati sul furgone che partì sfrecciando nel vicolo con un fischio di gomme.

Qualche ora più tardi recuperò coscienza in una stanza buia e fredda.

Aveva tutta l’aria di trovarsi in un seminterrato in rovina. Delle tubature rotte e dal forte odore di ruggine avvolgevano le pareti marce e divorate dalla muffa. Nathan si fece lentamente strada nella stanza e nel frattempo dei flashback gli attraversarono la mente. Si ricordò di aver sentito dei discorsi sul furgone poco prima di perdere coscienza.

«Quanto pensi di farci con questi due?».

«Non lo so ancora, ma la loro famiglia sembra benestante».

«In alternativa possiamo venderli al mercato nero… forse la ragazza vale di più se non le hanno fatto troppo male. Del ragazzo ce ne possiamo anche disfare per come è conciato».

Scoppiò una fragorosa risata.

«'Oppure vendilo, ci potresti fare un buon gruzzoletto. I cartelli della droga pagano bene per le nuove leve'»'. Nathan aveva iniziato a mettere insieme i pezzi per ricostruire quello che era successo. Il suo respiro era diventato ansante e superficiale. Sentì qualcuno avvicinarsi alla porta della sua cella e si affrettò per trovare qualcosa da usare come arma ma non riuscì a trovare nulla. Decise di nascondersi in una rientranza del muro aspettando che aprissero la porta. Un’omaccione entrò nella stanza e Nathan gli saltò addosso urlando.

«DOV’È MIA SORELLA?».

Lo afferrò saldamente con le braccia da dietro il collo, mentre scariche di adrenalina percorrevano le sue terminazioni nervose facendo scattare i muscoli. Sopraffatto dalla rabbia non si rese conto del pericolo alle sue spalle e cadde di nuovo terra dopo essere stata colpito alla testa da qualcuno. L’adrenalina aveva intorpidito i muscoli. L’uomo lo prese a calci nello stomaco finché non poté più ribellarsi.

«Cazzo, fallo marcire lì dentro!». Gridò una voce burbera. La porta si richiuse e i passi si fecero sempre più lontani nel corridoio lasciandolo lentamente nella desolazione della sua cella. L’unico suono udibile era l’acqua che gocciolava dai tubi rotti.

La scarica di adrenalina che gli era servita prima a incassare i colpi si spense, lasciando così Nathan in preda a un dolore lancinante. Tentò di muoversi, ma era paralizzato da quella insormontabile miscela di sofferenza fisica e mentale.

Dopo essere rimasto immobile per qualche tempo provò di nuovo ad alzarsi lentamente, barcollando qua e là. Quando riuscì a reggersi in piedi fissò intensamente la porta che era anche la sua unica via d’uscita da quella stanza. Ricacciò il dolore in fondo alla sua mente raccogliendo tutte le energie per concentrarsi e trovare un mondo per uscire. La sua mano scavava con rabbia nel palmo dell’altra al pensiero che ogni attimo che passava sua sorella era sottoposta alle stesse torture. Si avvicinò alla porta e la prese furiosamente a pugni.

«Lo vedrete! Uscirò di qua!». Urlò, sferrando calci alla porta. Continuò a sfogare la sua rabbia finché il corpo non lo fece cadere di nuovo a terra, stremato e senza più le energie necessarie per rimanere in piedi. Aveva esaurito le idee. Non sapeva che cosa fare, eppure doveva cercare una soluzione per salvare Crystal. Non poteva sopportare l’idea di essere così impotente da non poter garantire la sua protezione. Nathan era stremato e sapeva che doveva quantomeno provare a racimolare le energie, ma l’idea che quegli uomini le stessero facendo del male lo torturava. Trattenne il respiro, cercando captare ogni suono nelle sue vicinanze.


Nulla. Premette l’orecchio contro la porta, ma l’unico suono udibile erano le gocce d’acqua che cadevano al suolo dalle tubature. Il suo respiro si fece più veloce. Urlò e prese a pugni la porta, infischiandosene del dolore pulsante e delle nocche sporche di sangue. La rabbia lo stava accecando e l’idea di sentirsi come un animale bloccato in una gabbia peggiorava la situazione.

Nathan si svegliò. Il suo corpo era dolorante ed esausto a causa delle contusioni e per il fatto di aver dormito sopra un pavimento freddo e duro. Trattenne una smorfia di dolore mentre si guardava le mani gonfie e insanguinate. «Mi dispiace… mi dispiace davvero tanto, ma non preoccuparti… uscirò e la farò pagare cara a quegli stronzi». Sussurrò a sé stesso, mentre un sorriso si allargava sul viso mentre immaginava a quale lunga agonia avrebbe sottoposto i suoi aguzzini.

Sentì la gola secca e asciutta. Guardandosi attorno brancolando nella penombra cercò di seguire il rumore dell’acqua. Una delle tubature perdeva e sul pavimento a intervalli regolari cadevano gocce d’acqua rugginosa. Dopo un attimo di esitazione diede alla fine ascolto alla sua gola e ne bevve alcune gocce. Avevano un sapore disgustoso, ferroso e maleodorante. Spuntò tutto per terra.

«Questa sarà l’ultima cosa di cui avrò bisogno… devo uscire di qua». Mormorò tra sé e sé tornando vicino alla porta pensando ad un modo per aprirla.


«Io… io li ucciderò tutti… ucciderò tutti… li farò soffrire». Borbottò Nathan a denti stretti.

Continuò a prendere a calci e a pugni quella porta e usò persino il suo corpo come ariete per sfondarla, ma non si muoveva. Stava impazzendo in quella stanza. Oltre alle gocce d’acqua che si infrangevano sul pavimento sentiva altri rumori. Suoni sconnessi e confusi, voci lontane e urla di dolore. Non capiva se fossero reali o provenissero semplicemente dalla sua fantasia. Il tempo passava lento dentro quella stanza dove era stato dimenticato, senza cibo né acqua. Lo avevano lasciato lì a morire col pensiero fisso in testa di salvare sua sorella.

Il suo corpo si faceva di giorno in giorno sempre più debole e la fame aveva iniziato a gonfiare il suo ventre. La sua mente era stanca e affaticata, in alcuni momenti sentiva cose che non potevano essere reali, come l’acqua parlare e voci che lo deridevano.

L’acqua che per lungo tempo aveva logorato le tubature di quella stanza aveva indebolito il metallo, tanto da farlo staccare e cadere rumorosamente a terra. Il forte clangore metallico risvegliò Nathan che si trovava accasciato a terra poco più di là. Si alzò lentamente e barcollando le sue mani raggiunsero il tubo che si era staccato. Lo afferrò e iniziò a scagliare violenti colpi contro la porta. D’un tratto uno dei cardini cedette, così da lasciare una speranza a Nathan di riuscire finalmente a uscire da quel buco.

Continuò a picchiare più forte che poteva finché di li a poco riuscì a rompere tutte le cerniere e a far cadere la porta. Nonostante tutto il frastuono provocato dai colpi nessuno era accorso a controllare quello che stava accadendo. Un largo sorriso di sollievo deturpò la sua espressione. Ora poteva fargliela vedere a quegli stronzi e andare a salvare sua sorella.

Uscendo fuori dalla stanza non trovò nessuno, ma a giudicare da quello che vedeva nell’oscurità si trovava da qualche parte in un grandissimo seminterrato. D’un tratto in lontananza udì delle voci che presumibilmente giungevano dal piano di sopra.

«Sei ancora qui? Mi rincresce, ma ho dovuto sopprimerla. Quella puttanella era così tenace che ha quasi staccato a morsi la mano a Portman». Non c’era alcun rimorso nel suo tono di voce. «In ogni caso mi sarei stancato presto di lei, sai con tutto quel sangue e quel viso tumefatto, ormai non potevamo farci molto di lei. Oh, a proposito...». Si rivolse ad una terza persona. «Non credi che ormai sia morto anche il punkabbestia?». Nessun rimorso per quello che avevano fatto, per le vite che avevano strappato e le torture inflitte a quelle persone.

Nathan tremò mentre le lacrime scendevano lungo il viso. A stento riusciva a credere a quello che aveva appena sentito e sperava trattarsi di una crudele bugia. Si sentì schiacciare da un peso al petto e iniziò anche a mancargli l’aria.

«Sì, scommetto che è passata più di una settimana. Dubito che respiri ancora». L’altro rise.

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Nathan li sentì dirigersi verso le scale del seminterrato. Il dolore presto si tramutò in rabbia e la sua mente traboccava di risentimento, ormai sentiva come se il corpo non gli appartenesse più e non ne sentiva più il controllo. In balia delle emozioni che turbinavano come un vortice nella sua testa attese nell’oscurità che i due uomini si facessero vicini. Erano troppo impegnati a parlare tra di loro per accorgersi di lui.

Quando il primo entrò nella sua stanza Nathan era già pronto. Lo colpì violentemente alla testa e avvertì uno scricchiolio di ossa. L’altro uomo era rimasto scioccato. Nathan rise di giusto. Dal tubo in metallo gocciolava sangue.

«Adesso è arrivato anche il tuo turno!». La presa si fece più salda e lo colpì con tutta la forza che aveva in corpo. L’aguzzino cadde a terra tramortito e Nathan continuò a infierire sul suo corpo finché non ridusse in poltiglia il suo cranio, ma prima di arrivare a ucciderlo si premurò di rompergli ogni osso del corpo.

Raggiunse la rampa di scale da cui erano arrivati i due uomini e salì al piano di sopra dove trovò altri due ceffi che non avevano prestato ascolto alle grida. Probabilmente si sentivano sicuri che ad avere la meglio fossero stati i loro compagni. Nathan approfittò della loro distrazione per arrivargli alle spalle, e quando si accorsero della sua presenza estranea ormai Nathan li stava già per colpire con il tubo di metallo.

Caddero tutti e due a terra come sacchi di patate e nella confusione se ne approfittò per assestargli altri colpi. Li sottopose alla stessa lenta agonia finché non fu completamente ricoperto del loro sangue.

Nello stesso corridoio, Nathan trovò una porta e oltre ad essa trovò sua sorella. Allargò un sorriso e corse ad abbracciarla.

«Mi dispiace se ci ho messo così tanto, ma sono qui ora». Parlò sottovoce. «Non piangere, adesso sei al sicuro qui con me. Shhhh ~ ti proteggerò per sempre, te l’ho promesso. Ti ricordi Crystal?Li ucciderò tutti per quello che ci hanno fatto passare… ti salverò ancora».

Singhiozzò, cercando di trovare conforto in quelle parole illusorie lungo dalla realtà che stava vivendo in quel momento. Crystal era in fin di vita. Il suo corpo era martoriato e il suo aspetto quasi irriconoscibile.

«Ho bisogno di salvarti… se li ucciderò tutti riuscirò a farlo. Li ucciderò per te sorella...».

Sorrise, mentre nell’altra mano stringeva il tubo insanguinato.

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