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“Eugene, vieni a giocare.” Mi chiamava. “Eugene, dai, giochiamo insieme!”

Era sempre nella mia stanza, seduto su quella sediolina di legno. Completo di berretto e casacca da marinaio, e il leoncino di pezza come al solito con sé. Sempre nella sua solita posizione.

Era nella mia stanza... 

“Eugene, vieni a giocare con me!”

Continuava a chiamarmi.

Io indugiavo fuori la porta, fissando il pomello d'ottone lucido.

Era il mio compagno di giochi. Si sarebbe intristito se l'avessi lasciato lì, mi dicevo. Era il mio unico amico.

“Lo so che sei là fuori...” Diceva.

E io entravo. Per quanto ci provassi era più forte di me. Mi divertivo in fondo. Quindi entrai in quella stanza, e lo aiutai ad alzarsi da quella sedia.

“Scusa Robert...” Lo avevo chiamato con il mio stesso nome.

Mi chiamo Robert Eugene Otto. E sono il figlio di una famiglia di aristocratici. Mi piaceva il mio nome quindi glielo cedei con piacere.



Robert si divertiva a fare scherzi. Era un vero mascalzone. Lui faceva i dispetti alla servitù e i miei genitori sgridavano me.

“Non sono stato io!” Dicevo “È stato Robert!”

Sì.

Era stato Robert a rompere i quadri. Era stato Robert a lasciare aperte le finestre. Era stato Robert a rovesciare le posate dai tavoli. Era stato Robert a far cadere i mobili. Era stato Robert!

“Non si fanno aspettare gli amici, lo sai?” Mi aveva detto. La voce inquietante.

E ricominciava la solita routine.



“Sarà divertente... Dai.” La voce continuava a rimbombarmi nella testa. “Non ascoltarli; lo sai meglio di me che non puoi sfuggire al tuo destino.” La vocina macabra risuonava nelle pareti del mio cervello “Saremo amici... Per sempre. SEMPRE! Ahahahah!”

Urlai a squarcia gola.

Era notte fonda, ed ero nel mio letto a baldacchino.

Robert era lì.

Sulla sua sedia di legno.

Lui con il suo completo da marinaretto, e il leoncino di pezza attaccato al suo braccio. Sempre la solita posizione.

I miei genitori erano entrati in camera mia. Allarmati mi chiesero che cosa avessi avuto.

Trovarono la finestra aperta e Robert seduto. Mi guardava. Lo sapevo. I suoi occhi mi erano puntati addosso.

“È stato Robert!” Dissi, anche stavolta.



Talvolta lo sento ancora adesso, che sono sposato, mentre lui è da solo nella soffitta.

“Eugene, vieni a giocare.” Mi chiamava. “Eugene, dai, giochiamo insieme!”

Era seduto su quella sediolina di legno. Completo di berretto e casacca da marinaio, e il leoncino di pezza come al solito con sé.



Sempre nella sua solita posizione...

       

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