Creepypasta Italia Wiki
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È vero, non ho mai avuto modo di dirle che la amavo, e solo Dio sa quanto la amavo, ma adesso è troppo tardi per ritornare sui miei passi. L'ho persa... L'ho persa quel maledetto giorno. Non mi scorderò mai cosa ho visto; all'inizio pensavo di stare impazzendo. Ma diamine, tutto quello che ho visto era reale!



Parto col dire che già da quando ero nella più tenera età, avevo dei black out di memoria, non ricordavo molto di ciò che succedeva. Mi sentivo, anzi mi sento, come un uomo a cui nascondono una perla in fondo al mare: so che c'è, so dov'è, ma non riesco a farla emergere. Quella perla rappresenta i momenti della mia vita che non riesco a ricordare.



Però qui è diverso, io ricordo perfettamente, dettaglio per dettaglio, quel trauma che mi ha indotto a scrivere e a raccontarvi tutta la verità.



...



Quel giorno il tempo era particolarmente sereno. Io e lei eravamo davanti al portone di casa. Quel portone che giorno dopo giorno varco per uscire o per rientrare in casa, che giorno dopo giorno mi trasmette un'ansia e un vuoto incolmabile che più nessuna donna o nessuna bevanda inebriante potrà cacciare o colmare. Lei quel giorno era contenta, non l'avevo mai vista sorridere così tanto alle mie battute; di solito, dopo una mia battuta pessima, lei mi guardava con uno sguardo che voleva dire tutto tranne che fosse una battuta divertente. Adoravo quello sguardo, era l'unico motivo per cui continuavo a dirle.

Vorrei trasmettere a voi che state leggendo altri particolari dello scenario che ci circondava ma avevo occhi solo per lei. A dir la verità vorrei cessare di scrivere, fa troppo male anche scrivere una singola lettera di questo testo perchè mi riporta a quel giorno ma ancor più, aumenta il peso che da allora tormenta la mia anima. Ricordare i vividi colori dei momenti felici passati con lei e paragonare il tutto all'oggi tempestato da solo due colori, il bianco e il nero, mi strazia il cuore.

Vorrei chiedere perdono per quante volte divago e cambio rotta dal drammatico evento, ma col cuore in mano devo e, ripeto, devo continuare a scrivere su questo foglio, imbevuto di inchiostro e lacrime, ciò che accadde quel mesto giorno.

Ero lì, con lei. Lei rideva e io compiaciuto mi ripetevo che il giorno in cui l'ho conosciuta avevo fatto la miglior cosa che potessi mai fare e, fidatevi, ne faccio raramente. Quel giorno lei era vestita di nero, un colore che lei adorava e che anche io adoravo perchè mi trasmetteva cose che nessuna donna in tutta la mia vita potesse trasmettermi: il fascino seducente di una donna come lei e il mistero che trasmetteva in cuor mio col suo sguardo e con il suo vestiario, mi sentivo come un bambino pronto per girovagare per casa e scoprire cose che per lui erano al momento del tutto estranee. Ciò che più mi attirò era quel girocollo che portava, un pentacolo. Oltre al pentacolo indossava un busto nero con alcune rifiniture in pizzo e una gonna di pelle più o meno lunga e un paio di stivali borchiati. Lo ammetto, avevo un debole per... ma questo non conta! Devo continuare a scrivere! Sì, scrivere.

Quel suo splendido viso, con quegli stupendi occhi scuri che scrutavano la mia anima, improvvisamente divenne ancor più bianco di quanto potesse mai esserlo prima. Di colpo cadde a terra. Avevo una paura fottuta! Ansia, ansia, ansia, tanta ansia! Istintivamente mi buttai a terra e con i miei occhi pieni di paura, la guardai. La presi tra le mie braccia e le dissi di non lasciarmi, che avevo bisogno di lei! E infine le dissi di stringersi forte a me e che sarebbe andato tutto bene.

Che sciocco!

Lei si strinse a me con un'intensità maggiore di quanto avrei mai potuto immaginare, ma sentivo tramite il suo tocco la sua energia vitale affievolirsi minuto dopo minuto, secondo dopo secondo... Io le dissi di nuovo con insistenza di non abbandonarmi e di non morire. Lei, con la sua bellissima, ma al tempo stesso flebile voce, mi disse: "Fattene una ragione, la gente muore di continuo."

Non riesco a scrivere...

...

Ricordo di averla portata in macchina. Ora anche nei suoi occhi si riusciva a vedere la sua vitalità volar via come polvere al vento, non sapevo che cosa le stesse prendendo. Io non ero più lucido in quel momento, ma l'unica cosa che mi venne in mente di provare era di portarla da un medico; dal miglior medico. Ne conoscevo uno ma si trovava in una città limitrofa. Avrei dovuto sbrigarmi se avessi voluto riabbracciarla ancora un altro giorno. Non persi tempo e partii subito.

Non ricordo bene il tragitto che percorsi tantochè mi perdetti. Vedevo lei seduta sul sedile del passeggero. Non dava nessun segno di vita, ma fortunatamente continuava a respirare ed era la cosa che più contava per me in quel momento. Decisi di chiedere informazioni; la zona che ci circondava era pressochè caratterizzata da arbusti alti e tutti ammassati che limitavano la visuale. Percorrevo una strada provinciale e il cielo si stava oscurando per ogni istante che passava. Era come se il sole morisse assieme a lei...

A dieci minuti di viaggio mi imbattei in una pompa di benzina all'apparenza abbandonata e tra me e me speravo che ci fosse davvero qualcuno. Avevo seriamente bisogno di quelle indicazioni!

Accostai la macchina accanto ad una delle pompe ormai interamente ricoperte di ruggine, risultato di un'incuria ed un abbandono prolugato nel tempo. Scesi dalla vettura ma non prima di aver controllato lo stato di quella ragazza che qualche momento fa rideva alle mie stupide battute. Ero davvero stupido! Uno. Stupido. Ragazzo. Innamorato...

Il sole era calato completamente già da qualche minuto e io con il cuore che mi batteva forte, continuavo a camminare a passo svelto verso l'autogrill in fondo alla piazzola. L'edificio era un ammasso di cemento e vetri tenuti insieme tramite qualche miracolo, visto che si vedevano pezzi di calcinacci venuti via dai muri, nonchè un vetro in frantumi. Intorno a me aleggiava un indefinito silenzio che veniva di tanto in tanto interrotto dai rumori della fauna locale nascosta nella fitta boscaglia, divenuta adesso, per mezzo dei riflessi lunari, un buco nero che non prometteva niente di buono. Mi sentivo dannatamente osservato!

Avanzai verso la porta dell'autogrill e porsi la mia mano destra tremante verso il freddo pomello, lo afferai e lo tirai verso il basso. Il rumore che emise quella sinistra porta era come unghie che raschiavano il piano di una lavagna. Quel rumore mi fece gelare il sangue e per qualche momento la mia mente mi suggeriva di fermarmi e tornare indietro, ma il mio cuore travolto da tante strane emozioni e paure mi costrinse ad avanzare. La stanza era completamente dominata dalle tenebre, il bancone versava in uno stato pietoso. Era lurido e inoltre sulla sua superficie c'era un liquido che col tempo si era cristallizzato; il pavimento invece era abbastanza pulito (come mai il proprietario si preoccupava solo di ripulire il pavimento?). In questa stanza vi erano anche tavolini, sedie e sgabelli, alcuni in piedi e altri gettati a terra. Il mio timore aveva ripreso di nuovo a farsi sentire! Quel posto era completamente abbandonato ma c'era qualcosa che non quadrava, qualcosa che mi portava a sospettare che quel posto non fosse così abbandonato come sembrava.

Me ne sarei dovuto andare!

Ma no. Come un ignaro cavaliere pronto a gettarsi in una grotta tetra, anch'io in quel momento ero di fronte alla porta della cucina e con la stessa mano con cui avevo aperto la prima porta mi apprestavo a rifare la stessa cosa con la seconda.

Me ne sarei dovuto andare.

Un sibilo. Uno scricchiolio e dopo l'oscuro segreto! Una striscia di sangue che partiva da sotto i miei piedi per poi arrivare davanti al frigorifero. Avevo paura, me ne sarei dovuto andare ed era quello che feci, mi voltai e stavo per andarmene da quel posto, quando ad un tratto sentii un urlo femminile, era lei!

Con uno scatto felino cercai di raggiungere la macchina, il cuore batteva all'impazzata, il fiato divenne affannoso e le gambe sempre più leggere. L'adrenalina iniziò a scorrere in ogni membra del mio corpo rendendo il tutto più sopportabile... fisicamente. Ma la mia mente viaggiava, viaggiava alla ricerca di qualche risposta razionale che spiegasse lo stato fisico di lei, il sangue nella cucina dell'autogrill, le urla.

Arrivai alla macchina e guardai dentro: non vi era nessuno a parte il suo pentacolo gettato sul sedile; lo raccolsi. Sapevo che nelle sue condizioni non si sarebbe potuta allontanare, le era sicuramente accaduto qualcosa. Mi guardai in giro ma non riuscii a vedere niente a causa della poca luce; tuttavia mi era sembrato di intravedere o percepire qualcosa nella fitta rete di alberi e, nella più impavida delle azioni, mi avviai verso questo buco nero fatto di pericoli e di incertezze. Passo dopo passo mi addentravo sempre più in quel posto; per ogni minuto che passava il mio animo veniva sempre più messo a dura prova. Che cosa poteva esserle successo?



Solo subito dopo quell'istante avrei trovato la risposta a questa domanda. Folle! Follia! Ho visto la follia in persona!

Dopo aver camminato per dieci massimo quindici minuti, arrivai all'estremità di una radura ma che non riuscivo ancora a veder bene a causa dei tronchi che si ponevano davanti alla mia vista. Avanzai un altro po' e, dopo essermi fatto avanti di qualche passo, sentii un rumore, quasi come uno spostamento d'aria improvviso. In quel preciso momento io deglutii. Tuttora non mi spiego cosa mi spingesse a continuare e ad andare avanti nonostante tutto quello che avevo visto o sentito.

Vi avverto, ciò che sto per scrivere su queste prossime righe risuona di pazzia o di follia e quasi certamente mi crederete pazzo, ma fidatevi! So quel che ho visto!

Avanzai in questa radura e vidi lei a terra, mentre giaceva nel suo stesso sangue rilucente di un bagliore quasi spettrale a causa della luna. Quella luna che, con un ghigno cinico e beffardo, osservava la scena e aspettava ansiosa lo svolgersi di questa tragedia che ai suoi occhi veniva interpretata come una commedia. Da quel giorno l'ho sempre guardata con rigetto.

Corsi dalla mia ragazza, e mi gettai un'altra volta in ginocchio. Le alzai la testa con le mie braccia tremanti e pulsanti mentre tenevo lei vicino a me, vedevo le mie braccia, le mie vesti, le mie gambe tingersi di quel rosso spettrale; solo adesso riuscivo a comprendere la fonte da cui sgorgava: il collo! Mentre tenevo alzata con la mano sinistra la sua testa, con la destra cercavo di tamponarle il collo, ma non c'era modo di fermare quel mare in tempesta. Vedevo i suoi occhi scuri e vedevo la sua vita spegnersi a poco a poco e questa volta neanche il miglior dottore di questo mondo avrebbe potuto far niente. Ero davvero disperato! Lo ammetto, in quel momento io piangevo, sighiozzavo come un bambino, mi sentivo impotente, come se una calamità naturale si fosse abbattuta su tutta la città spazzandone via anche gli abitanti e tu, senza poter fare niente, rimani lì fermo su quell'altura sicura e non puoi fare altro che piangerti addosso e incolparti di tutto ciò che è successo.

Mentre tentavo di fermare l'emorragia, lei guardandomi emise un suono fioco e disse: "Avrei voluto avere un po' più di tempo per noi due, ma... adesso... perdonami". Queste furono le ultime parole che io potetti ascoltare da lei e che porterò per sempre nel mio cuore traviato e lacerato da un male più forte della peste. Avvicinai il suo viso al mio e la baciai per l'ultima volta sulle sue soffici e ormai fredde labbra che un tempo erano piene di energia. Continuai a singhiozzare rendendo sangue e lacrime un'unica cosa sul mio volto. Lei cessò di vivere...

Urlai. Urlai con tutta quanta l'energia che avevo in corpo. Ne uscì un suono indemoniato misto a rabbia e dolore. Quella tempesta di emozioni attirò una creatura. Quella creatura apparve a me dall'altra parte della radura, ben celata dalle ombre della notte. Ma riuscii a vedere quel tanto che basta per capire che quella creatura era stata rigettata da Lucifero in persona su questa martoriata terra. Era un essere abominevole, con un statura da far invidia ad un qualsiasi bodybuilder impasticcato, aveva occhi di un rosso acceso, una postura che protendeva in avanti, spalle e braccia tozze, dalle sue mani uscivano unghie affilate come coltelli e dalla bocca sporgevano dei canini grondanti di sangue. Quel demonio emise un ruggito così poco definito da sembrare che fosse stato emesso da un branco di lupi con varie intensità di suoni e di timbri.

Rimasi lì impietrito con il corpo di colei che un tempo fu la mia ragazza ancora tra le braccia. Quel dolore e quella rabbia si trasformarono immediatamente in paura e con le ultime forze, necessarie per la sopravvivenza, fuggii da quel posto dimenticato da Dio e ben voluto dal demonio. Abbandonai il corpo della mia amata lì, in quella foresta. Quell'atto di codardia mi brucerà per sempre nel petto e nell'animo. Non avrei mai voluto abbandonarla. Ad ogni modo quella mia reazione fece scaturire nel predatore quella febbrile voglia di cacciare e iniziò ad inseguirmi. Io corsi a perdifiato nel vano tentativo di salvarmi da quella creatura, sentivo i suoi versi e il suo fiato sul collo, una serie di brividi mi correva lungo la schiena. Ero sicurissimo che anche per me fosse venuta la mia ora. Allora mi fermai e mi voltai verso il predatore. Mi rassegnai completamente al mio destino. Speravo in cuor mio di rivedere lei nell'altra vita ma ciò non avvenne, altrimenti non avrei mai potuto stendere queste parole su questo foglio. Il demonio impazzito si fermò anche lui. Questa volta eravamo faccia a faccia e riuscii a distinguere i suoi lineamenti umani. Aveva qualcosa di familiare che in quel momento non riconobbi, non che mi importasse. Vidi su quel che chiamerò volto, un sogghigno. L'essere si voltò e iniziò a correre con una velocità bestiale verso l'oscura coltre di arbusti. Lo persi di vista. Notai che mentre la mostruosità batteva in ritirata perse qualcosa. Mi avvicinai al punto dove qualche minuto prima vi era la bestia, tremavo all'idea che lì, in quel metro quadro, ci fosse stato un essere saturo di odio, rabbia e stranamente anche di un minuscolo sprazzo di razionalità, visibile seppur schiacciato dagli istinti animaleschi. Prima di raccogliere quell'oggetto caduto mi guardai intorno per almeno tre volte, avevo il timore che l'essere tornasse e finisse quello che aveva interrotto con me. Una volta rassicurato che il pericolo fosse passato, mi chinai e i miei occhi strabuzzarono non appena videro quel paradosso. Estrassi dalla mia tasca il girocollo che raccolsi nella macchina e lo avvicinai a quella rivelazione per poterli comparare. Era lo stesso, anzi era lui. Il suo girocollo...

Come può accadere una cosa del genere? Come può esistere un oggetto in due punti diversi? Leggendo questo penserete che sia uno stolto, penserete che io stia farneticando e quasi sicuramente starete pensando che potrebbero esistere sicuramente nel mondo molti girocolli simile a quello che tenevo in mano e che quindi l'altro girocollo ne era la prova. Ma no... No... No... No! Vi state sbagliando! Io ero e sono sicuro che quel girocollo, anzi quei girocolli, erano la stessa cosa ed erano della stessa persona! Me lo sentivo. Quell'oggetto mi aveva rivelato un segreto macabro, in silenzio, come se fosse stato un sibilo o un sussurro captato dolcemento e con difficoltà dal mio orecchio. Quell'essere ero io! Il mio subconscio me ne dava la certezza e un angolo remoto della mia mente mi avvertiva che, ancora una volta, potevo aver dimenticato... Non lo so.

So solo che, in qualche modo io ero o, più correttamente, diventerò quel demone. Non so come, non so quando e non so il perchè, ma quello sarò io; la bestia che mi ha portato via lei...

...



Termino qui di raccontarvi ciò che accadde. Se non credete a ciò che ho detto, non importa! Ma sappiate che quel giorno fu il giorno in cui ottenni nel mio cuore e nel mio animo una cicatrice che nessuno o niente potrà mai sanare completamente.

È arrivata l'ora, finalmente, di uccidere quell'agglomerato di paradossi, di paure e di bestalità annidate nelle fondamenta del mio animo... ripartire dal principio. Magari lei potrebbe tornare in vita...


Narrazioni[]

Amnesiac_Love_-_Creepypasta

Amnesiac Love - Creepypasta

Narrazione di giulyagatta97

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