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Doveva essere una vacanza

Ho la schiena a pezzi, il piede mi fa molto male, sto sudando e la fame e la sete stanno convincendomi oramai ad uscire dall' armadio, questo fottuto armadio che è diventato sempre più la mia bara. Ma non posso uscire, perché se non sarà la fame o la sete a stroncarmi... sarà... Cristo, non ci voglio neanche pensare a come ci sono finito in questa merda di situazione, chiuso da giorni in un armadio.

Era il 2 Marzo quando decisi di regalarmi una bella vacanza per premiarmi dell'ottimo rendimento scolastico e godermi la bella stagione.

Però la mia priorità era un'altra, cioè trovare una casa o un piccolo appartamento dove alloggiare per una settimana di relax. Tra gli annunci trovati su internet uno in particolare rubò la mia attenzione. Era una casa a due piani, sembrava molto grande e spaziosa, c'era un giardino e l'affitto della casa era dannatamente basso. Era un'occasione che non potevo farmi scappare, e così decisi di prenotare chiamando il numero, fornito dal sito, della proprietaria della casa per aggiudicarmi una settimana di alloggio in quel paradiso a basso costo. Parlandoci al telefono per un po' notai di avere a che fare con una persona tutto sommato tranquilla e simpatica, e quindi nessuna preoccupazione pervase la mia testa in quel momento. Non mi interessai a nulla inizialmente... purtroppo...

Arrivato il giorno prestabilito andai a visitare l'appartamento e devo dire che le foto viste rispecchiavano perfettamente la realtà: casa spaziosa, con questa grossa scala nella sala d'ingresso che portava ad un piano superiore in cui si trovava la (da quel momento, "mia") camera da letto, probabilmente la più bella in cui abbia mai dormito.

L'unica nota stonata era l'armadio che si trovava subito davanti al letto, con ogni probabilità molto vecchio, pieno di crepe e buchi nel legno sporco; dava l'impressione di poter cadere a pezzi da un momento all'altro. Chi avrebbe mai immaginato che quella merda di armadio, vecchio e puzzolente, sarebbe diventato il mio unico riparo da morte certa?

Il pomeriggio del secondo giorno ero appena tornato da una mattinata in spiaggia, saranno state le 6, e come al solito, lasciata tutta la roba sul tavolo dell'ingresso, mi stavo stendendo sul divano per guardare un po' di tv. Tutto normale fin qui. Presi il telecomando, accesi e vidi che era partito un disco che, non so come né perché, si trovava nel lettore DVD. Prima di spegnere tutto, vidi un po' di cosa si trattava...

sussultai...

Per 5 minuti, lo schermo della tv rimase nero con una scritta bianca: "VATTENE"

La prima cosa che ho pensato era "Cazzo, qualcuno è entrato in casa per farmi questo scherzo di merda!"

Non sapevo che fare, se chiamare la polizia o far finta di niente... pensarci non servì. Trovai il cavo del telefono tagliato. Avevo molta paura.

Sentivo il cuore che batteva forte, mentre io andavo sempre di più nel panico. "Devo uscire, ADESSO!" pensai in quel momento, mentre mi dirigevo a passo veloce verso la porta... quello che vidi mi fece trattenere un urlo che altrimenti avrei liberato insieme a tutta la mia agitazione. Sulla porta c'era un foglio con scritto "VATTENE".

Notai, mentre cercavo disperatamente di aprire la porta, che questa era chiusa dall'esterno con qualcosa, forse assi di legno (e qui mi domandai come io abbia fatto a non accorgermi dell'operato di quello che da lì a poco sarebbe diventato il mio potenziale assassino).

Ora la faccenda si era fatta veramente tanto complicata quanto inquietante.

C'è una finestra in salotto, ma non la potevo sfondare visto che il vetro è troppo spesso, tutte le uscite al primo piano non sono vie di fuga, dato che non saprei come uscire da queste senza rischiare di uccidermi per via dell'altezza, niente porta, niente telefono, niente...

Pensa Mike, pensa cazzo... (Giusto, dimenticavo, mi chiamo Mike Sullivan).

Il cellulare! Era in cucina.

Inutile.

Mi fiondai in cucina ma niente, non c'era più.

Iniziai ad avere l'impressione che chi mi avesse fatto tutto questo lo avesse pianificato da tempo. Però nessuno sapeva così tanti dettagli sul mio viaggio...

Ad un certo punto rabbrividii... I piedi quasi non si muovevano... Ed io, incredulo, lo fissai mentre lui fece la sua prima apparizione davanti ai miei occhi.

Lì, in piedi vicino al frigorifero era comparsa questa figura vestita in maniera improponibile, con una busta di plastica nera in testa, completa di buchi per naso e occhi.

Puzzava molto, e me ne accorsi 2 secondi circa dopo la sua apparizione.

Non volli rimanere un terzo secondo in più. Iniziai a correre, senza chiedermi dove.

"Sono nella merda!" pensai, mentre mi sembrava di essere sempre di più in un labirinto, visto che non trovavo una via d'uscita per scappare via dalla casa. Inoltre avevo come l'impressione che il tipo misterioso non mi stesse seguendo, forse perché non ne aveva bisogno. Mi sto pentendo di non averlo affrontato come un vero uomo, come qualcuno che lotta per la propria vita. Correndo verso il piano di sopra me lo ritrovai davanti appena svolto a destra, e in quel secondo che sono stato a fissarlo, prima di correre via dall'altra parte, notai che era armato. Aveva quello che sembrava un grosso martello da muratore pieno di sangue.

Ormai nel panico più totale, cercai di raggiungere la finestra in camera da letto, dalla quale mi sarei buttato, rischiando la morte... ma ormai non mi importava, visto che pensavo solo a scappare.

Mi fiondai sulla porta della camera. Chiusa.

Merda.

Il tipo con la busta in testa si avvicinava sempre di più, mentre io ero disarmato e in dubbio su cosa fare. Ero in un vicolo cieco. L'uomo si avvicinava sempre di più, riuscivo a sentirne i lamenti bisbigliati sottovoce, quasi come una specie di preghiera in una lingua strana.

Ero senza uscita, non potevo difendermi, lui ed il suo martello erano sempre più vicini. Ad un certo punto si fermò per un secondo a fissarmi, ed è qui che mi rovinò l'esistenza: mi guardò, e quegli occhi arrossati da psicopatico sono i più orribili che io abbia mai visto, che mi abbiano mai guardato, e sono sicuro che non me li scorderò mai, a patto che io esca vivo da qui.

Di scatto si lanciò verso di me e caricò il martello, ma io molto fortuitamente riuscii a schivare il colpo abbassandomi, facendogli sfondare la maniglia della porta, che di colpo si aprì. A questo punto dovevo solo entrare, correre verso la finestra e buttarmi cercando di cadere nel miglior modo possibile.

Ma mentre stavo per entrare nella stanza, spingendomi con molta violenza, riuscì a farmi cadere e mentre ero a terra, prima che io mi potessi alzare, mi diede una martellata sul piede con una violenza animale, e lanciai un grido di dolore come io stesso non avrei mai immaginato di poter fare.

All'inizio non capii se mi avesse rotto il piede o no, visto che di medicina ne capisco poco, ma ero certo che il dolore era talmente forte da non permettermi di farmi alzare e sfondare la finestra.

L'ultimo piano che avevo, l'unica possibilità di fuga che mi era rimasta, la mia sola speranza di vita: tutto questo era sfumato, sparito.

Ormai ero agonizzante per terra, a qualche metro da lui.

"È questo che era deciso per me? Morire a 19 anni?" Pensai mentre si avvicinava a passi piccoli e lenti.

Mi accorsi che subito accanto a me si trovava l'armadio rotto e puzzolente che disprezzai tanto il giorno del mio arrivo. Un mare di pensieri invasero in un secondo la mia mente: "Cosa fare? Entrarci? Non servirebbe a nulla! Servirebbe solo a ritardare la mia morte!" Ma ormai non avevo nulla da perdere, quindi rotolai accanto all'armadio, ne aprii un'anta e mi accovacciai velocemente in un angolo, mi chiusi al suo interno e tentai di bloccare le maniglie con un'asta di ferro che solitamente fungeva da appendiabiti. Così mi illusi di aver bloccato le due porte ed essere al riparo dal tipo con la busta in testa e piano piano, nel buio di quell'armadio maleodorante, mi stavo abituando sempre più all'idea di morire, riflettevo su come ci si potesse sentire a morire per via del cranio fracassato da un martello, la gente avrebbe saputo della mia morte? E i miei genitori, ne sarebbero venuti a conoscenza? E i miei amici? La mia ragazza?

Silenzio.

Sono stato a pensare per un po' di tempo, ed è questo ciò che mi crea tutt'ora un dubbio: perché ho avuto il tempo di pensare? Come faccio ad essere ancora vivo se l'uomo lì fuori mi ha visto chiaramente entrare nell'armadio? Pensai che se ne fosse andato, o che, in maniera angosciante, mi stesse attendendo fuori, magari seduto sul letto, con il martello in una mano e quelli occhi da psicopatico sbarrati, quasi come per fare un gioco. Per quello che potevo guardare dalla serratura, però, non vedevo nessuno sul letto e, stranamente, non sentivo più rumori nella stanza, niente passi né bisbiglii, niente. Non volevo di certo uscire e quindi decisi di rimanere lì dentro. Probabilmente mi ci sarei trattenuto anche per la notte, anche se sapevo che sarebbe stato impossibile riuscire a dormire con il dolore lancinante del mio piede, e pensando a quello che avevo appena vissuto, a quegli occhi... quei maledetti occhi...

Ho passato dei giorni terribili, senza mangiare né bere, agonizzante per via del piede e bloccato dalla paura in questo armadio. Al suo interno ormai la situazione igienica è precaria, vista la presenza inevitabile di feci e urine, che rendono l'ambiente non più vivibile, non che prima lo fosse stato. Ogni tanto ho sentito dei rumori, ma credo sia stato frutto della mia mente spaventata. Credo che sia passata una settimana da quando mi sono chiuso qui, sono letteralmente senza forze. Ho meditato a lungo su cosa fare, e non c'è altra scelta: oggi è il grande giorno, devo uscire dall'armadio, devo uscire dalla casa, devo salvarmi! Ma come fare...

Potrei uscire e scendere al piano di sotto, però se la porta è ancora chiusa sarò costretto a risalire. Magari lui è di sotto ad aspettarmi, a fissare la porta della camera dal salone...

Ho troppa paura, voglio mettere fine a questa storia, una volta per tutte. Il piede mi fa male, ma rispetto una settimana fa, ora mi sento di poter camminare. Ho già in mente la pazzia che farò, allora mi levo la giacca e la uso per proteggermi il viso, mi infilo dei guanti trovati nell'armadio e prendo un bel respiro.

Fatto il pieno di coraggio, do un calcio all’anta per uscire, mi fiondo fuori e dopo una settimana dentro l'armadio rimango spiazzato per qualche secondo nel trovarmi di colpo al di fuori, ma so che è rischioso stare qua fermi.

Comincio a correre verso la finestra, la raggiungo a tutta velocità mentre mi copro con la giacca il viso, mi lancio sul vetro e lo sfondo con tutto il corpo.

Sto volando.

Sto cadendo.

Non resisterò all'impatto, non sopravvivrò.

Morirò.

Mi risveglio in un lettino d'ospedale, con una flebo attaccata al braccio e un mal di testa lancinante. Caspita, sono vivo! Però mi guardo e noto che la mia gamba sinistra, quella martellata, è ingessata ma non mi fa male, forse non avrà resistito all'impatto. Nel frattempo un infermiera, avendo visto che mi sono svegliato, sta entrando nella stanza e mentre si avvicina, attraverso la finestra, riesco a vedere due tipi, forse poliziotti, che parlano.

Capisco che l'argomento della conversazione sono io dal fatto che riesco a sentirli benissimo parlare di caduta, finestra e altro, il tutto mentre ogni tanto mi lanciano delle occhiatine. Nel frattempo l'infermiera avvicinatasi a me, mi sta parlando di quello che è successo, di come io mi sia salvato secondo lei "per miracolo", del fatto che mi sia procurato solo una frattura al piede, ma non mi interessano queste stronzate ora, voglio solo capire cosa stanno dicendo su di me quei tizi la fuori.

Allora mentre lei parla, io sento loro due discutere di tentato suicidio, di instabilità psicologica, di autolesionismo.

Cosa? Sul serio? Sarei un folle suicida con instabilità psicologica? Vadano a farsi fottere! Per cosa mi hanno preso, per un matto da manicomio qualsiasi?!

Sono furibondo, ma non posso esternarlo, visto che l'infermiera non ne vuole sapere di uscire dalla stanza.

Dopo dieci minuti la ragazza decide di andarsene e finalmente posso rilassarmi, senza qualcuno che mi riempia la testa di cazzate.

Ad un certo punto i tipi fuori che stavo osservando mi fissano profondamente, poi entrano. Prima di varcare la soglia della porta, bisbigliano qualcosa ad un infermiere poi, una volta entrati, chiudono la porta a chiave e si accomodano su delle sedie accanto al mio letto cigolante, uno alla mia destra e un altro a sinistra.

«Lei è Mike Sullivan, giusto?» dice quello a destra.

«Si, sono io».

«Bel volo che ha fatto, voleva imparare a volare o cosa?».

«Cosa l'ha spinta a compiere quel gesto?» replica l'altro.

«Voi due chi siete?».

«Io sono l'agente Miller» risponde quello a destra «mentre il mio collega è l'agente Davis, siamo della polizia e volevamo farle delle semplici domande, ci vuole aiutare a capire cosa è successo?».

Credo che la cosa migliore ora sia raccontare tutto, d'altronde sono poliziotti, la cosa non potrebbe che giovarmi. Quindi dico loro del DVD e del foglio minatorio sulla porta e poi, timoroso, inizio a parlargli dell'assassino e della dinamica dell'aggressione, di come fosse vestito l'uomo e della sua arma.

Non sembrano tranquilli, da quando ho cominciato a parlare di maschera e di martello appaiono dubbiosi, quasi intimoriti.

«Mi scusi, signor Sullivan, ma lei conferma che l'uomo che ha provato ad ucciderla indossava una busta della spazzatura nera per coprirsi il viso e usava un martello contro di lei?»

«Si confermo, e aggiungo che era vestito con una camicia, forse gialla, sporca e sudata, e un paio di jeans...».

Si danno uno sguardo, ora sono palesemente destabilizzati.

Mi faccio coraggio «Agenti, qualcosa non va?». «Signor Sullivan, dobbiamo aggiornarla sull'ispezione fatta nella sua abitazione qualche giorno fa».

«Guardando tra le sue cose» cominciò l'agente Davis «notammo che all'interno delle sue valige aperte sul letto c'erano, riposti al loro interno con cura, gli stessi oggetti che lei ha descritto ora, quali camicia sporca, jeans, maschera e soprattutto un martello, inoltre non è stata riscontrata la presenza di alcun cartello minatorio o DVD estraneo, a differenza di quanto detto da lei».

«In più i vicini di casa affermano di non aver visto nessuno aggirarsi nella zona della sua abitazione a quell'ora, oltre a lei, ovviamente».

«A me però sembra strano, la versione dei fatti che ho esposto è veritiera, non ho detto balle.»

«Sappiamo anche che soffriva di depressione a causa dello stress scolastico, è così?»

«E con questo? Sì, è vero, ma era semplice stress da studio, poi è passato tutto.»

«Sa signor Sullivan, è del tutto normale che da problemi quali la depressione e l'ansia ne derivino degli altri, come instabilità psichica, attacchi di panico e, in alcuni casi, violenza, anche verso se stessi».

Rimango basito.

Pensano davvero che sia un pazzo suicida? La cosa, per quanto surreale, mi fa quasi ridere.

«Non è possibile agenti, io non ho questo genere di problemi. Quei vestiti, questa frattura al piede, tutta questa faccenda è opera di quell'uomo, di certo non mia, e se voi soltanto pensate di farmi passare per un depresso violento e autolesionista avete sbagliato. Quegli occhi che mi fissavano in casa, mentre ero indifeso, dovrebbero essere solo frutto della mia fantasia?».

«Si calmi, non la stavo certo accusando, stavo solo…».

«So quello che ho vissuto e sono sicuro di quello che ho visto, non potrete farmi passare per quello che non sono!».

«Stia tranquillo, la vogliamo aiutare, le nostre erano solo domande, e se lei sostiene che l’aggressione sia avvenuta in questa maniera, noi faremo il possibile per prendere il responsabile.»

Sorrido «Grazie agenti».

«Mike, ora è al sicuro qui.» e dette queste parole, i due uscirono dalla stanza.

Stanno passando delle ore, solo in questa stanza, ogni tanto viene l'infermiera a controllarmi, anche se non mi sento al sicuro, non sono a mio agio.

Sto per addormentarmi, sono molto stanco, ma all'improvviso sussulto perché sento la porta sbatt

La testa mi fa malissimo, talmente male da farmi dimenticare il dolore provocato dalla gamba, ma cos’è successo?

Realizzo di essermi svegliato, ma non nel lettino dell'ospedale. Sono accovacciato, comincio ad allungare le mani e a toccare intorno a me, è uno spazio chiuso, è molto piccolo, è... Non ci voglio credere.

Perché sono di nuovo in un armadio? Chi mi ci ha chiuso? Tutto questo non ha senso, e io sto morendo di paura.

Il mio cuore batte forte, mentre ormai la mia mente non è più lucida. Non sono consapevole di quello che sto vivendo, oppure non ancora.

Noto dopo poco che mi sbagliavo, non sono chiuso.

L'armadio non è chiuso a chiave.

Bene, questo vuol dire che posso uscire, ma lo voglio veramente?

Meglio prima controllare fuori dalla serratura, come l'ultima volta.

Quindi mi avvicino al buco, ci appoggio l'occhio e...

Sono in casa.

Sono in casa mia.

Sono nella mia camera da letto, ma sul letto non ci sono io...

Lo vedo, e un senso di sconfitta pervade il mio corpo, è tutto finito.

C'è lui, mi aspetta, con il martello in una mano, senza maschera, mostrando il suo vero volto e i suoi occhi.

Quegli occhi.

Sorride.

Mi Sorride.

The dark closet by sheynkler87-d5ffxjl

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